Storica mancanza di una cultura della sicurezza e privatizzazioni dettate più dalle logiche low cost che dall'efficienza: due tra le cause della tragedia di Soma. Non l'unica, nell'industria estrattiva turca. Nel 1997-2012 sono morte 2333 persone.
(Scritto per Il Manifesto)

di Matteo Tacconi
L'ecatombe della miniera di carbone di Soma, città situata tra Bursa e Izmir, nell’entroterra del litorale egeo, diventa di giorno in giorno più spaventosa. Ma la strage non è un caso eccezionale, benché le sue dimensioni siano clamorose. Il fatto è che in Turchia capita spesso di morire sottoterra.
Le statistiche forniscono una prova inconfutabile. Secondo la banca dati dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) nel periodo 1997–2012 sono state 2333 le morti bianche tra i minatori.
Diverse, secondo le varie tesi snocciolate in queste ore, sono le cause a monte di queste tragedie. C’è innanzitutto una cultura insufficiente sulla sicurezza sul lavoro. I controlli e le misure lasciano a desiderare. Ankara, tra le altre cose, non ha ratificato una convenzione del 1995, promossa proprio dall’Oil, sul potenziamento della sicurezza e delle condizioni di salute nel settore estrattivo. Il deficit che si rileva in termini di sicurezza è affiancato, ha riportato l’Ap, da un approccio fatalista. Tanto che il primo ministro turco Erdogan, davanti a un incidente occorso nel 2010, in cui rimasero uccisi 30 lavoratori, arrivò a dire che la morte fa parte del destino del minatore.
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