La Russia sanzionata guarda verso la Cina. Un rapporto basato su interessi comuni, destinato a colmare i deficit lasciati sul versante europeo.
Di Stefano Grazioli
scritto per Linkiesta
L’economia russa è in seria difficoltà. Mosca è isolata politicamente sul lato occidentale, dove la crisi ucraina ha creato un fossato tra il Cremlino e le cancellerie europee. Con Bruxelles è scontro aperto, così come con Washington. Tra Stati Uniti e Russia si è tornati ai toni della Guerra fredda.

Ma c’è l’altra faccia della medaglia: sul lato interno Vladimir Putin è più forte e popolare che mai e su quello orientale internazionale, cioè non solo transatlantico, proprio solo non è. La fuga dal G20 di Brisbane è stata criticata anche a casa propria, dove lo scatto di nervi del presidente è stato accolto con una certa sorpresa, anche perché tra i rappresentanti dei venti paesi più industrializzati qualche amico forse c’era, a partire dal numero uno cinese Xi Jinping. Con Pechino il rapporto non è mai stato facile e lineare, ma Putin non ha scoperto l’altro ieri che la Cina è un partner fondamentale strategico, cioè geopolitico ed economico, per l’equilibrio di quel nuovo ordine mondiale che secondo Mosca non deve pendere solo dalla parte degli Stati Uniti.
Le relazioni economiche sino-russe sono diventate reciprocamente essenziali e non sono frutto dello spostamento che è avvenuto da quando il conflitto ucraino ha cominciato a pesare sulla scacchiera mondiale. La prova viene naturalmente dal contratto del secolo sul gas, firmato quest’anno tra Mosca e Pechino, ma le cui radici vanno indietro di un decennio, in tempi poco sospetti, in cui Vladimir Vladimirovich guardava all’Europa, ma sapeva che il futuro era ad est.
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