Il 4 giugno di venticinque anni fa si tennero le elezioni "quasi libere", frutto della transizione. Trionfò Solidarnosc, che lanciò subito la terapia d'urto economica.
(Scritto per Il Manifesto)

(Archivio Rassegna Est)
di Matteo Tacconi
Venticinque anni fa, il 4 giugno del 1989, la Polonia andava alle urne. Elezioni politiche. Il voto sancì la fine della stagione del socialismo realizzato e l’inizio di quella democratica. Una tornata storicamente decisiva, dunque. Ma tecnicamente anomala. Il voto fu libero, senza esserlo del tutto. Metteva in palio cento seggi su cento al Senato. Tuttavia al Sejm, la camera bassa, il 65% degli scranni fu riservato d’ufficio al Partito operaio unificato polacco (Pzpr) e alle sue formazioni satelliti.
Il carattere spurio di quelle elezioni era il frutto degli accordi scaturiti due mesi prima al termine della Tavola rotonda, durante la quale il Pzpr e l’opposizione radunata intorno a Solidarnosc, con il contributo della chiesa cattolica, negoziarono la transizione. I punti principali furono la legalizzazione delle attività sindacali indipendenti, le elezioni presidenziali (si tennero nel 1990 e furono vinte da Lech Walesa) e quelle parlamentari del giugno 1989. Solidarnosc fece la cannibale. Si prese il 99% dei seggi del Senato e 160 dei 161 contesi al Sejm, accumulando una dote di consensi tale non solo da esprimere il primo ministro, Tadeusz Mazowiecki, ma da sviluppare un’agenda di cambiamento economico radicale e netta, con costi sociali enormi. L’ingresso nell’epoca democratica e del libero mercato ne risultò drasticamente accelerato.
Il paradosso del 4 giugno 1989 sta nel fatto che né i comunisti e né Solidarnosc si aspettavano che le urne restituissero tale esito. I primi interpretarono malissimo l’umore delle masse, maturando l’impressione che esistesse una maggioranza silenziosa che, spaventata dal salto nel buio, avrebbe preferito votare il Pzpr e imprimere alla transizione un passo lento. Il voto dimostrò invece che i polacchi volevano farla finita senza indugi con il comunismo.
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